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CRITICHE D'ARTE

Qui di seguito una selezione di presentazioni di artisti e opere tratte da mostre e cataloghi.

Japanese Collection - mostra personale dell'artista ALEKSANDER PECA

Il mondo giapponese è un tema che ricorre molto frequentemente nelle opere di Aleksander Peca, fin dai suoi esordi, e accompagna nel tempo la sua produzione. Ricordiamo che molti furono gli artisti che subirono il fascino del Sol Levante, basti pensare al fenomeno del giapponismo di fine ‘800 che influenzò Manet, Degas, e in particolare Van Gogh. Nei quadri di questi artisti vengono frequentemente ritratte stampe giapponesi e progressivamente la loro arte viene segnata profondamente dallo stile orientale.

Nel caso di Peca, però, anche se si può notare l'amore per le grandi campiture di colori vivaci, le superfici lucide che sembrano quasi smaltate, non abbiamo un avvicinamento alla bidimensionalità come avvenne per Van Gogh e i postimpressionisti. Egli piuttosto, nella sua pittura realista, anzi iperrealista, fortemente plastica, utilizza immagini simbolo della cultura giapponese tradizionale, quali la geisha o il kamikaze e quelle del giappone contemporaneo quali i manga, cioè i fumetti e le sottoculture giovanili che si sono diffuse in tutto il mondo, come  gli emo e le lolita.

Queste immagini vengono spesso decontestualizzate e ricollocate in modo provocatorio. Vediamo, per esempio, le geishe vestite da astronauta oppure la geisha in motocicletta. In particolare in questa rappresentazione abbiamo delle associazioni di elementi contastanti come la dolcezza, l'elemento femminile della geisha e l'aggressività, l'elemento maschile della motocicletta.

Vedere una geisha decontestualizzata è scioccante: pensiamo allo scandalo che fece la presenza in scena nella Madame Butterfly di Ken Russel al festival dei due mondi di Spoleto del 1983 di elementi quali bottiglie di coca cola giganti, hamburger e maschere di Topolino, in forte contrasto con l'immagine del Giappone, alludendo così alla contaminazione del mondo occidentale.

La decontestualizzazione genera un effetto straniante che destabilizza lo spettatore ma lo affascina allo stesso tempo. In Peca siamo davanti a un processo simile a quello del dadaismo o del surrealismo. E in effetti, definirei la pittura di Peca un iperrealismo magico, vicino alla pittura surrealista e metafisica. Ma solo vicino. Ammicca, ma in realtà è molto affine a certa raffinatissima pittura rinascimentale, come quella di Piero della Francesca, Leonardo, Botticelli, Giorgione, che nasconde al suo interno delle vere e proprie sciarade, degli enigmi. Ogni quadro di Peca, infatti, si può leggere a più livelli. E proprio per questa complessità, come certe opere rinascimentali, al di là dell'evidente bellezza estetica, i suoi quadri hanno un fascino misterioso. Sotto questo punto di vista, per la forte polisemia, i numerosi riferimenti a diversi momenti della storia dell'arte e le numerose citazioni, possiamo definire Peca un pittore pienamente postmoderno.

Ma quali sono i significati riposti e perché la provocazione attraverso lo straniamento?

Il kamikaze, le geishe, gli emo, le lolita, sono delle icone ma anche delle maschere. Una ragazza vestita da gothic lolita è in maschera e lo fa per far parte di un certo gruppo in cui verrà accettata. Ma non è se stessa. Una geisha ha il volto dipinto, una maschera che la spersonalizza. Il kamikaze accetta il suicidio perché egli non è più una persona ma una macchina da guerra. Tutte queste icone ci parlano di un camuffamento, una maschera dietro alla quale si nasconde ognuno di noi.

La geisha in motocicletta, decontestualizzata, ci sciocca perché è finalmente libera di uscire dal suo ruolo, una semplice donna che inforca la moto, che non è una semplice moto ma un’ Harley Davidson che ci fa pensare a Kerouak e al suo famoso libro Sulla Strada al film Easy Rider e a  un anelito prepotente e disperato verso la libertà. Non a caso, come in questo quadro, spesso ricorre anche la presenza di uccelli, simbolo del volo e della libertà, appunto.

Che sia un attacco di follia di pirandelliana memoria  a spingere la nostra geisha a salire su una moto per fuggire?

Di certo il desiderio di libertà e l'insofferenza per i ruoli, le convenzioni ipocrite e i paradossi delle società ultracomplesse, come quella giapponese, divisa tra la conservazione del passato e la tensione verso l' ultratecnologico e il futuro, rende molto complicata la vita delle persone, come si può leggere nei libri di Banana Yoshimoto, l'autrice di Kitchen, molto vicina alla vita delle lolite che vediamo in questi quadri o ai manga e in quelli di Haruki Murakami, maestro del realismo magico giapponese, autore di Kafka sulla spiaggia, il cui stesso titolo, riferito ad un autore giapponese ha un effetto straniante.

Troviamo dunque l'arte di Peca estremamente contemporanea e significativa perché ci parla dell'uomo contemporaneo e non solo giapponese.  Il mondo giapponese infatti, negli anni si è sempre più avvicinato a noi, con i fumetti, i cartoni animati e le tecnologia oppure noi ci siamo avvicinati ad esso, vivendo in società sempre più complesse e ipertecnologiche da cui veniamo schiacciati?

Lascio allo spettatore questa riflessione.

Astrid Pesarino 

 

Dove si sgretola l'amore -mostra personale dell'artista ADRIANA ITRI

Il titolo scelto per la mostra, "Dove si sgretola l’amore", individua perfettamente due delle caratteristiche principali della pittura di Adriana Itri: lo sgretolamento, la destrutturazione della materia pittorica e le emozioni.

Innanzitutto la materia pittorica. Si parte da colori primari quali il rosso, il nero, il bianco e il blu del fondo che ospitano una pittura gestuale  che a colpi di spatola e pennello sembra sgretolare la superficie, rendendola quasi liquida. Animano i suoi quadri effetti simili a quello di un lago colpito dalle luci della notte, oppure la materia sembra disintegrarsi, colpita da un potente fascio di luce bianca, o ancora possiamo perderci nel luccichio degli smalti neri che invadono e quasi fagocitano il rosso brillante e pastoso.

Nella pittura di Adriana Itri tutto vive e tutto è vita, l’espressività del colore si intensifica attraverso il suo uso plastico. Osservando, infatti, la superficie delle opere si potranno vedere grumi di colore e di smalti che balzano fuori verso lo spettatore come onde in movimento.

Il gesto pittorico è potente, quasi violento e in alcune opere invade con prepotenza una superficie ritmata da spatolate orizzontali, creando temi diversi che si intrecciano e si scontrano, parlandoci di stati emotivi diversi e contrastanti.

Questi colori abbaglianti e il gesto pittorico fortemente espressivo creano universi poetici di grande suggestione. La materia pittorica, densa e ribollente, si addensa e si sgretola, aprendo l’accesso a nuove dimensioni, una nebulosa in cui pulsano emozioni, passioni, pensieri, che talora si materializzano in piccoli oggetti che sembrano galleggiare o fluttuare: un fiore sperduto che ricorda i fiori evanescenti di Odilon Redon, simbolo di solitudine esistenziale, piccoli cuori solitari, oppure forme scritte.

La poesia del colore, infatti, si fa verbo e parola, si fa suono e parla allo spettatore. Dallo spazio immenso escono voci che cercano un contatto spirituale con l’umanità, parlandoci del tempo e del vuoto esistenziale.

Nella seconda parte della produzione di Adriana Itri, le opere riducono progressivamente la propria tavolozza di colori fino a giungere al nero assoluto, opaco, che assorbe la luce. La parola scritta, bianca, sinuosa, diventa allora protagonista, invadendo la superficie, provocando lo spettatore e accogliendolo in uno spazio onirico, in cui si muove l’io dell’artista. E’ uno spazio altrove, come se, completata la destrutturazione della superficie pittorica, l’artista avesse raggiunto un non luogo, un oltre, come Alice dietro lo specchio.

Quella di Adriana Itri è dunque una pittura complessa, intensa e coinvolgente, ricca di vissuto, che fa sognare ma anche pensare. In ogni quadro il colore, la luce, lo spazio, assume valenza simbolica ed espressiva e ci racconta una storia dell’anima, quella dell’artista che si fa poeta, ma anche quella di tutti noi, perché, come dice il grande Umberto Saba “il dolore è e
terno,/ ha una voce e non varia” e ci accomuna tutti in un lamento fraterno.


Astrid Pesarino

Tre artisti dalla collezione Juliet: GIOVANNI PULZE, MAX ROHR, MARK KOSTABI

GIOVANNI PULZE

 

Pittore trevigiano attivo dagli anni ’80. Dalla fine anni ‘90 tema dominante delle sue opere sono gli angeli metropolitani di cui potete intravedere le ali luminose tra la folla urbana che popola le sue opere. In ogni quadro vediamo uno coloratissimo scorcio di metropoli, da Milano a New York a Londra, ma c’è anche Trieste. Sono i non luoghi della contemporaneità, un caleidoscopio di luci artificiali e masse umane in movimento dove l’uomo è sempre più solo in mezzo alla folla. Ma il pittore ci parla di una speranza: questi angeli immanenti, che camminano accanto ai passanti sono epifanie rassicuranti e protettive che accendono ogni cosa di colore e quindi di vita, portando un soffio di felicità.

Quello che colpisce in questi quadri è il caleidoscopio di colori accesi e brillanti e non è casuale. Nel film di Wenders il cielo sopra Berlino, che viene subito in mente, osservando queste opere, il bianco e nero domina su tutto finché gli angeli protagonisti sono relegati a semplici osservatori. Solo nel momento in cui uno di essi, Damiel, decide di diventare umano e camminare accanto agli uomini interagendo con loro, solo allora il film passa al colore, perché il colore è vita ed è profondamente parte dell’umano.

 

 MAX ROHR

 

Pittore nato a Bolzano. Il quadro esposto appartiene a una serie in cui  appaiono

strani cortocircuiti narrativi in ambienti metropolitani inquietanti, brani che sembrano tratti a caso dal bel mezzo di un romanzo, preferibilmente un noir. La figura umana, profondamente concentrata nel tentativo di decifrazione della realtà, come nella migliore tradizione surrealista, racchiude al suo interno una finestra, che è un vero schermo televisivo, in cui appare un altro ambiente, una seconda realtà in un moltiplicarsi vertiginoso di dimensioni spaziali e narrative, proprio com’è la vita. C’è il nostro spazio, la nostra storia e contemporaneamente lo spazio e la storia di chi ci circonda e ogni cosa è punto di vista del soggetto. Il che suscita perplessità su una decifrazione univoca dell'esistenza, un’ impossibilità di prendere decisioni che blocca il protagonista come di fronte ad un rebus indecifrabile. E qui è impossibile non pensare a quanto è sempre attuale la visione del mondo pirandelliana, tanto più in un mondo in cui i media e i punti di vista si moltiplicano continuamente.

ANTONIO SOFIANOPULO

Artista triestino di origini greche. Nei suoi quadri sono protagonisti animali e piante collocati in una dimensione metafisica dipinti con amorevole minuzia al punto da richiamare la pittura fiamminga e Durer. Nel suo lavoro non viene contemplato il disegno preparatorio, il bozzetto o lo schizzo: tutto avviene con lentezza e meticolosità direttamente sulla tela, dipinto dopo dipinto, velatura dopo velatura, con la mano che sempre con maggiore aderenza si adegua alle visioni interiori. Quasi fossero icone sacre, gli animali in questi quadri, immobili ed enigmatici, sembrano depositari di una rivelazione negata all’uomo, escluso dalla tela, come se fosse un di più, come se interferisse con la possibilità di penetrare i segreti delle cose. Noi restiamo al di fuori di questi piccoli universi, incantati ma anche delusi, perché per noi non c’è posto, probabilmente perché con la nostra natura caotizzante ne spezzeremmo i delicati equilibri e rovineremmo tutto.

 

 

MARK KOSTABI

 

L’artista americano Mark Kostabi, ha al suo attivo più di 160 mostre personali allestite in tutto il mondo e le sue opere sono presenti nelle collezioni permanenti del Museum of Modern Art e del Metropolitan Museum di New York. Dipinge figure senza volto, senza tempo, una sorta di manichini puri e bianchi come la neve che possono essere tutti noi e nessuno di noi: è la figura dell’uomo qualunque, una sorta di marchio di fabbrica dell’artista. Con tonalità calde e fredde, bianchi e neri, colori accesi, ben definiti e privi di sfumature, ombre nette e una linea marcata i suoi uomini senza volto appaiono come manichini privi di identità che vivono un’esistenza sospesa tra atmosfere oniriche e metafisiche, popolando un universo virtuale. Assieme all’’uso di questo aspetto illustrativo dai colori decisi e della metafora “facile”, quasi pubblicitaria, l’arista procede a una critica feroce alla nostra civiltà in quanto l’alienazione umana e l’omologazione, rappresentati dalla mancanza di tratti somatici dei suoi personaggi, sono conseguenze inevitabili del consumismo imperante, del materialismo, dell’aggressività dei mass-media e dell’inarrestabile sviluppo tecnologico.

 

Quale il messaggio sotteso a queste diverse poetiche e che in qualche modo ha motivato le scelte di questa esposizione?

Noi lo abbiamo letto nella RICERCA che guida ogni uomo e ogni artista chiamato a dare una sua risposta, una sua interpretazione: la parola faro, il segno che illumini; e, dall’altro lato, nella SOLUZIONE che l’artista prospetta.

La ricerca è quella dell’Essenza e della Verità in qualche modo come risposta all’alienazione. Sofianopulo appunto si sofferma su questo aspetto – l’animale isolato, come nel caso della giraffa, posta su un’isola, da sola, quando sappiamo che è animale che si muove in branchi e nelle savane, oppure in quel gruppo di animali ritratto circonadato da uno spazio interplanetario – e trova la sua essenza nel mondo animale da cui l’Uomo è escluso, mentre in Kostabi l’uomo scompare in maniera ancora più drammatica – ne vediamo il contenitore svuotato e in qualche modo ridotto ai suoi contorni generici, a puro manichino. In Rohr l’alienazione del mondo ipertecnologico apre un squarcio in una realtà che è iperreale – un video – e che si vorrebbe tuttavia profonda, uno sguardo nel profondo dell’uomo – non a caso ci sembra esso è posto di schiena e questo video è acceso in lui, certo un richiamo agli esperimenti dei tessuti in fibre ottiche di ultima generazione, ma con ben più drammatico significato.

Queste diverse interpretazioni si fondono quasi in Pulze dove alienazione – l’affollamento delle città – e ricerca dell’Essenza trovano una risposta nelle figure di questi angeli che vivono nel caos e a quel caos infondono nuova luce e vita ovvero significato.

 

Astrid Pesarino

 

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